GIORNO 9, L'ULTIMO
Alle 2 di notte suona l'allarme che sveglia tutto l'albergo tranne mia sorella.
Esco preoccupata dalla camera e incontro un cinese in mutande, “fire, fire” mi dice, ma poi smette e tutti ci rimettiamo a letto.
Sono le 8 e lei già freme, ma noi abbiamo in programma la visita alla cattedrale russa.
Dopo l'ultima colazione francese, vaghiamo intorno alla stazione, tra marocchini, ristoranti e posti tetri, in cerca della cattedrale che dovrebbe vedersi da lontano.
Quando arriviamo finalmente capiamo perché non avevamo visto niente: la chiesa, per un anno ancora, è in completo restauro. Grandi impalcature e teli bianchi ne ricoprono l'intera superficie, cosa che non sembra importare troppo ai fedeli che nell'attesa, si sono costruiti un altare di fronte al cantiere della balena bianca.
Sconfitti torniamo alla base, carichiamo tutte le valige per l'ultima volta e ci fermiamo ad Eze, sulla strada del ritorno, un saluto alla vera Francia provenzale che mia sorella non ha apprezzato.
Mentre lei aspettava seduta su una panchina, al riparo dalle ripide salite, il suo ritorno in patria, io risalivo le piccole strade per arrivare al castello, il suo ingresso a pagamento è l'ultima cosa che ho visto.
Non ci volevo tornare e ora fremo, questo viaggio di ritorno mi sta opprimendo, sono un leone in gabbia, un cavallo da corsa alle griglie di partenza.
Liberatemi da code e cantieri autostradali.
“Ma non perdere la speranza
di andare in vacanza
senza mai lavorare,
possibili code
su raccordi stradali,
riunioni aziendali, fanculo,
a cui non andare”
*in memoria di mio padre e della sua padronanza delle lingue
“le numbr de la stanz?”
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