GIORNO 1
Sono arrivata al porto seguendo il richiamo del mare, il sole di mezzogiorno mi riscalda la schiena ricurva, il vento mi fa sentire viva.
E' stata una partenza desiderata questa, desiderata quanto temuta.
Ci ho messo un po' a prenotare, ogni volta si parte dal principio, affronto giorno dopo giorno il timore di non farcela e l'entusiasmo per una nuova avventura con me stessa.
Sono partita sotto la pioggia, nel buio della notte, un thermos di tè e un sacchetto di biscotti a tenermi sveglia.
La strada per l'aeroporto è popolata da una lenta processione di tir che mi costringono nella corsia di sorpasso, dopo ogni ostacolo superato mi ricordo di respirare e rilascio l'addome contratto che fino a poco tempo fa neppure percepivo.
Una piacevole alternanza di apnee.
Non ci sono stati dubbi nello scegliere Palermo come destinazione per il mio “tempo di decompressione”, la mia schematicità ha deciso per me, sentiva di dover completare un percorso, il territorio come traccia interiore.
Questa volta arrivo di prima mattina, l'alba la scopro tra le nuvole.
Trasporto i piedi e le due ore di sonno verso il b&b, il trolley che si incastra nelle irregolarità delle strade, migliori solo ai sanpietrini.
La stanza non è ancora pronta e forse questa è l'unica ragione che mi impedisce di crollare.
Non ho un piano ben definito, solo liste di cose da fare in ordine sparso, mandate da amiche che qui ci sono nate.
L'improvvisazione non mi paralizza più, decido di lasciarmi libera di seguire il tempo.
Il ragazzo alla reception ci tiene a darmi delle indicazioni che smetto di seguire quando disegna dei cerchi rossi sulla cartina in corrispondenza dei tre mercati principali della città: il Capo, Ballarò e la Vucciria. Avevo già deciso di partire da quelli e per la giornata mi sembra abbastanza, o almeno così pensavo. Scendo per strada, la pioggia di questa notte è solo un ricordo.
Mi accorgo subito di non essere più nella Sicilia Orientale che ho conosciuto e non so ancora se questo mi piaccia o meno, sono una pigra abitudinaria mossa da curiosità, preferisco riconoscere che conoscere, spesso.
Il caotico e colorato mercato del pesce di Catania lascia posto ad un ricco e più docile connubio di multiculturalità che si fa spazio tra le strette vie riparate dal sole.
Pattern di broccoli di Sciara e distese di olive si alternano ad Afromarket e pacchi di calzini da 10.
Mondi che hanno imparato l'arte della convivenza.
Accenno sorrisi e distolgo sguardi con la stessa rapidità, non scatto molto, mi limito ad osservare a passo svelto i murales che sopravvivono a mura cadenti, botteghe che foderano vecchie selle di motorini e la sporcizia che sembra essere diventata elemento architettonico.
Ho camminato tutta la mattina senza sosta, in fedele compagnia della paura del vuoto.
Ascolto il mare infrangersi nei blocchi di cemento del porto e mi ricordo che è da ieri sera che non bevo acqua.
Continuo a camminare come se dovessi sentirmi parte di qualcosa prima di poter scegliere dove sostare.
I 4 canti, la Cattedrale, il Palazzo Normanno, attraverso la città guardando in alto, a tratti distratta dalla stanchezza e dalla strana sensazione che mi lascia addosso questa assenza di pianificazione.
Tornando verso la camera, ormai rassegnata all'idea di dover riposare un po', scorgo le indicazioni per il “mercato delle pulci”, un cartello marrone gli conferisce dignità.
Scelgo di allungare la strada e mi ritrovo di fronte ad una via alberata, sui lati botteghe antiquarie foderate di lamiere si modellano attorno a tronchi possenti, un perfetto connubio di abusivismo, rispetto per l'ambiente e invettiva.
Un popolo strano questo, vado a letto con due arancine sullo stomaco, pensando ai motorini a pedali e a tutte quelle insegne fuori dai palazzi storici:
“qua una sera ha giocato a scacchi ...”
“qui ha riposato per due ore ...”
E poi si dice degli americani.
Sono arrivata al porto seguendo il richiamo del mare, il sole di mezzogiorno mi riscalda la schiena ricurva, il vento mi fa sentire viva.
E' stata una partenza desiderata questa, desiderata quanto temuta.
Ci ho messo un po' a prenotare, ogni volta si parte dal principio, affronto giorno dopo giorno il timore di non farcela e l'entusiasmo per una nuova avventura con me stessa.
Sono partita sotto la pioggia, nel buio della notte, un thermos di tè e un sacchetto di biscotti a tenermi sveglia.
La strada per l'aeroporto è popolata da una lenta processione di tir che mi costringono nella corsia di sorpasso, dopo ogni ostacolo superato mi ricordo di respirare e rilascio l'addome contratto che fino a poco tempo fa neppure percepivo.
Una piacevole alternanza di apnee.
Non ci sono stati dubbi nello scegliere Palermo come destinazione per il mio “tempo di decompressione”, la mia schematicità ha deciso per me, sentiva di dover completare un percorso, il territorio come traccia interiore.
Questa volta arrivo di prima mattina, l'alba la scopro tra le nuvole.
Trasporto i piedi e le due ore di sonno verso il b&b, il trolley che si incastra nelle irregolarità delle strade, migliori solo ai sanpietrini.
La stanza non è ancora pronta e forse questa è l'unica ragione che mi impedisce di crollare.
Non ho un piano ben definito, solo liste di cose da fare in ordine sparso, mandate da amiche che qui ci sono nate.
L'improvvisazione non mi paralizza più, decido di lasciarmi libera di seguire il tempo.
Il ragazzo alla reception ci tiene a darmi delle indicazioni che smetto di seguire quando disegna dei cerchi rossi sulla cartina in corrispondenza dei tre mercati principali della città: il Capo, Ballarò e la Vucciria. Avevo già deciso di partire da quelli e per la giornata mi sembra abbastanza, o almeno così pensavo. Scendo per strada, la pioggia di questa notte è solo un ricordo.
Mi accorgo subito di non essere più nella Sicilia Orientale che ho conosciuto e non so ancora se questo mi piaccia o meno, sono una pigra abitudinaria mossa da curiosità, preferisco riconoscere che conoscere, spesso.
Il caotico e colorato mercato del pesce di Catania lascia posto ad un ricco e più docile connubio di multiculturalità che si fa spazio tra le strette vie riparate dal sole.
Pattern di broccoli di Sciara e distese di olive si alternano ad Afromarket e pacchi di calzini da 10.
Mondi che hanno imparato l'arte della convivenza.
Accenno sorrisi e distolgo sguardi con la stessa rapidità, non scatto molto, mi limito ad osservare a passo svelto i murales che sopravvivono a mura cadenti, botteghe che foderano vecchie selle di motorini e la sporcizia che sembra essere diventata elemento architettonico.
Ho camminato tutta la mattina senza sosta, in fedele compagnia della paura del vuoto.
Ascolto il mare infrangersi nei blocchi di cemento del porto e mi ricordo che è da ieri sera che non bevo acqua.
Continuo a camminare come se dovessi sentirmi parte di qualcosa prima di poter scegliere dove sostare.
I 4 canti, la Cattedrale, il Palazzo Normanno, attraverso la città guardando in alto, a tratti distratta dalla stanchezza e dalla strana sensazione che mi lascia addosso questa assenza di pianificazione.
Tornando verso la camera, ormai rassegnata all'idea di dover riposare un po', scorgo le indicazioni per il “mercato delle pulci”, un cartello marrone gli conferisce dignità.
Scelgo di allungare la strada e mi ritrovo di fronte ad una via alberata, sui lati botteghe antiquarie foderate di lamiere si modellano attorno a tronchi possenti, un perfetto connubio di abusivismo, rispetto per l'ambiente e invettiva.
Un popolo strano questo, vado a letto con due arancine sullo stomaco, pensando ai motorini a pedali e a tutte quelle insegne fuori dai palazzi storici:
“qua una sera ha giocato a scacchi ...”
“qui ha riposato per due ore ...”
E poi si dice degli americani.