Ci svegliamo a Quimper, i canali fioriti irradiati dai primi raggi di sole ci danno il buongiorno, iniziamo la vana ricerca di una boulangerie per la colazione, il paese è veramente piccolo, sono le 8:30 e non c'è ancora niente di aperto, niente, davvero.
Vaghiamo per la piazza fantasma per poco ancora prima di deciderci a partire per la prima tappa e cercare qualcosa per strada, un cookie per mia sorella, un caffè per la mamma prima che inizi il mal di testa.
Il faro di Eckmühl dell'aristocratica austriaca spicca sul porticciolo dove riposano all'asciutto le barchette dei pescatori, su un letto di alghe e conchiglie piccolissime e colorate.
Mia sorella è scesa dalla macchina come una lucertola in cerca di sole, forse le manca l'ossigeno.
Guardo i pescatori uscire dal porto, le gabbie per aragoste lasciate sul molo del Point de Penmarc'h.
Saliamo i 300 scalini della scala a spirale che ci separano dalla cima, mi tengo aderente al muro esterno, guardare giù mi da la nausea, gli anni si portano dietro le vertigini.
Sono 60 i metri che adesso ci separano dal mare, che separano la stanza della vecchia aristocratica posta all'ultimo piano dalla terra dove fino a poco prima lasciavo andare i miei pensieri, vedo le ombre della gente che comincia ad affollare la spiaggia, le coste lasciate scoperte dalla bassa marea e le casette bianche e appuntite che brulicano come pecorelle.
Una volta scesi le vecchie bretoni che ricamano centrini tipici della zona attirano la mia attenzione. Una di loro ci spiega la simbologia del posto, così finalmente scopro che le tre spirali sono aria, acqua e terra e che i fiordalisi sono ovunque, mi illustra il tricot e gli utensili del mestiere, poi ci saluta con un "arrivederci" e un sorriso.
Pont Aven ci aspetta per divorare il nostro tipico pranzo al sacco, più mulini che case, un fiumiciattolo scorre per tutto il paese conferendogli un'aria estiva che raramente si respira in questo Nord.
Mangiamo baguette in riva al fiume accanto ad oche da guardia che mordono del gambe del babbo.
E' la prima volta che vediamo oche nella patria delle oche e del foie gras, probabilmente ce ne sono più morte che vive.
E' qui che Gauguin, nella seconda metà dell'Ottocento aveva riunito un arsenale di pittori impressionisti, il suo Cristo Giallo rappresentato ovunque e in ogni forma mi fa tornare alla terza prova degli esami di maturità.
Ultima tappa a Rennes dove dormiamo stanotte, giro del centro, negozi chiusi e giovani all'ora dell'aperitivo. Spesa di pasta, pesce e biscotti da cucinare nell'inaspettata piacevole sorpresa che si è rivelato l'appartamento a due piani, due bagni, tre stanze, open space e caminetto.
Sono qui seduta al bar dell'albergo con la mia birra a scrivere la mia storia quando mi si avvicina lei, giubbotto verde, frangia e 50 anni che parlano di lei dalle rughe attorno agli occhi.
Mi intimorisce, mi sta vicina, è ubriaca e con un bicchiere di vino in mano invade il mio spazio vitale, le dico che sono italiana e allora comincia a a parlare un italo-spagnolo impastato che comprendo abbastanza bene.
In mezz'ora mi racconta la sua vita e mi rapisce: origini ebraiche, nata in Lussemburgo, figli e nipoti sparsi per il mondo avuti con uomini maneschi o dalle dubbie origini.
Ballava danza classica, mi dice mentre mima un terza posizione, ha girato Europa, Africa e Sud America ed ora, sola con i suoi sonniferi, gira la Francia in cerca di una casa che possa permettersi con la pensione di invalidità.
Sul suo volto la sofferenza di una vita tormentata, mi lascia con l'amaro in bocca.