GIORNO 9
Le Mont Saint Michel la mattina, Saint Michel, Parigi, la sera.
Arrivati al parcheggio, superata la laguna degli alligatori che rapisce l'attenzione del babbo, lasciamo la macchina e prendiamo la navetta che percorre il nuovo ponte di cemento che permette l'arrivo al paese sempre, alta o bassa marea. Siamo in un autobus che mi ricorda quello che dal gate trasporta i passeggeri e i loro ingombrantissimi bagagli a mano fino a sotto l'aereo, le dimensioni sono le stesse e la calca pure, una ragazzina grassa mi fissa dal suo posto a sedere, mentre un giapponese mi fa insistentemente cadere il cappello con il suo gomito troppo ingombrante, le mani sudano, vedo germi ovunque e mi fa caldo.
E' presto ma il lungo ponte già brulica di turisti che si riversano dentro le mura del paese affollando ogni angolo e strada.
Saliamo percorrendo il passaggio obbligato che porta all'abbazia trasformata in una prigione per sacerdoti che rifiutavano la laicità del clero in seguito alla Rivoluzione Francese. L'unica cosa che riesco a provare è il panico, ti toccano, spintonano, hanno fretta, bambini urlano e piangono, i passeggini sono ingombranti e ti finiscono sui piedi.
Non posso perdermelo ma la voglia di fuggire è tanta, dopo giorni di paesini deserti, scogliere e natura, essere sbalzati in un covo di souvenir, attrazioni turistiche e visite a pagamento mi stringe la gola e mi da l'orticaria, un attacco di panico in piena regola, all'ora di pranzo.
La vista da sopra mi convince ad aver fatto la scelta giusta, tutto intorno a noi la Manica, la costa Normanna in lontananza e le maree che giocano con la sabbia.
Dopo una pizza divorata a metà con mia sorella in un angolo di un bar davvero troppo claustrofobico e una passeggiata nel fango grigio lasciato dal mare, scappiamo a gambe levate.
La sera siamo a Parigi, sono stanca ma non abbastanza per incontrare una vecchia amica Aretina per caso in città. Porto mia sorella con me, ci incamminiamo verso la metro dove mi accorgo di non poter pagare con gli spiccioli che mi ballano nel borsello, non ho la carta, sono in vacanza con i miei, chi se la porterebbe?
Chiedo aiuto ad un uomo di colore, spero comprenda il mio inglese, così gli pongo la domanda.
Cerca di capire con me perché la macchinetta non accetti contanti, poi paga con la sua carta e non vuole i soldi dei biglietti di sola andata, ci accompagna alla metro, ci chiede dove siamo dirette e ci scorta, poi, dopo due fermate scende regalandoci un sorriso.
Siamo arrivate al luogo di incontro, non ci vediamo da tanto quindi ci abbracciamo e cominciamo a parlare, mangiamo crepes salate al formaggio e passeggiamo per le strade del quartiere latino ai piedi di Notre Dame.
Mia sorella ci osserva in silenzio ma è con me e non guarda il telefono, le birre costano troppo e la metro chiude presto, così a mezzanotte ci avviamo verso il ritorno, e il letto.
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