domenica 26 agosto 2018

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA


GIORNO 4

Mi siedo all'ombra di un palazzo di fronte al Duomo, do finalmente adito alle richieste silenti dei miei piedi.
Sono a Noto, la città d'oro, la patria del Barocco.
Ho dormito 9 ore stanotte, non mi capitava da troppo e, nonostante gli incubi, mi sveglio riposata.
Decido che l'ultimo giorno i ritmi possono rallentarsi, che posso prendermi più tempo, così inizio la giornata con una colazione in piazza Duomo, a Catania, con una pasta alla panna e fragoline di bosco.
Il sole che fa capolino dalla facciata mi stringe gli occhi.
Attendo l'autobus in Piazza Alcalà, l'introvabile, sono due ore per Noto.
Mi sveglio che siamo quasi arrivati, il pullman va a singhiozzi, seguendo l'andamento del traffico, a destra distese di limoni si alternano a ruderi avvolti da fichi d'india.
Fuori dalla porta della città mi danno il benvenuto bambini dell'Est, un pappagallino sulla mano destra, una pallina rimbalzante su quella sinistra.
Mi chiedo che vita faranno, loro e i pappagallini, se saranno felici.
Dopo una visita al convento delle monache di clausura e al suo tetto con vista sulla città intera, decido di concedermi il primo vero pranzo, seduta.
Il tempo di attesa non è una priorità per me oggi, a differenza della visuale.
Mi siedo fuori, di fronte a me la scalinata di una chiesa, sul tavolo spaghetti alle sarde e un bicchiere di vino bianco. Bevo tre sorsi e già lo sento impossessarsi delle gambe.
“Chi si ferma è perduto”, penso a questa banalità che mi fa alzare e riprendere a camminare.
La città si sviluppa in salita, nella parte superiore del corso principale, mi scoraggio un po', complice il vino, poi mi lascio trasportare dal vento a favore.
Questa città è piena di chiese.
Passeggio in silenzio, percorrendo i lunghi scalini che affiancano le piccole strade in salita.
Non ho un indirizzo, né una destinazione, mi godo i colori e gli scorci che mi restituiscono la pace.
Nel pomeriggio tardo faccio ritorno, ho un appuntamento con Josephine, la zia catanese acquisita.
Non l'ho mai conosciuta e già mi tratta come una figlia, ogni giorno un messaggio di aggiornamento, è tutto ciò che chiede per accettare con più serenità l'apprensione per il mio viaggiare da sola. E' la cugina di un amico di mamma, mi aspetta con suo figlio per una cena veloce.
Dopo una doccia decido di attenderla sorseggiando un mojito al gelsomino all'Ursino Buskers, forse un paio.
Carmelo, il parcheggiatore abusivo conosciuto la sera prima mi chiede un resoconto della giornata.
Ci tiene a farmi vedere il mare bello di Catania, la sua barca, sua moglie e i suoi figli.
Scorre le foto della galleria del suo cellulare incurante del concetto di privacy, io tento di assecondarlo.
Mi sento adottata dal quartiere, lo stesso che mi aveva fatto così paura la prima notte.
La zia di Catania mi offre un fritto di pesce e un passaggio per l'aeroporto, alle 4 di mattina, “tanto guida mio marito, se riesco vengo anche io, così ti aiuto con la valigia”.
Mi racconta della sua infanzia in America e della dipendenza da preoccupazioni.
E' tornata per prendersi cura della madre, in famiglia la chiamano USL, mi ricorda mia mamma.
Così se ne va anche l'ultima sera, tra mojito fruttati e dolci sorrisi.
Credo che Sicilia significhi famiglia.

























giovedì 23 agosto 2018

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA


GIORNO 3

Di vento e timeline.


E' sera e bevo una birra a “La Piazza dei Libri”, posto di graffiti, arti circensi e vintage.
Mi guardo intorno seduta sulla mia poltrona da cinema e respiro la giornata che finisce.
Accanto a me parlano di possessività e io mi sento fortunata.
Il pullman per Siracusa è passato dal porto, questa mattina, enormi boiler ricoperti da altrettanto imponenti murales. Li guardo scorrere felice, mentre mi gusto un panzerotto dolce al cioccolato, quello che il tipo del bar ha definito “colazione piccola”.
Ortigia, l'isola nell'isola, colori pastello, una luce irreale e piante ovunque.
Decido di passare la giornata così, perdendomi tra le strade strette e senza uscita, respirando il mare.
Cerco il mercato, si percepisce l'autenticità nei mercati, l'essenza della cultura, del territorio.
Chiara mi aveva consigiato un alimentari, tanta fila e panini indimenticabili.
Sono sovrappensiero quando ci arrivo davanti, ma vengo attratta dalla degustazione di caciocavallo con limone per un gruppo di motociclisti in cui mi intrufolo.
Mi faccio spazio e ordino un panino alla mortadella con che i dovuti freni si trasforma in una baguette con olio, limone, mortadella, miele, funghi, caciocavallo e basilico. Lo porto al mare con me, il volto già scottato riparato dall'ombra della scala che scende alla spiaggia.
Resto per qualche ora, respiro e scrivo, il telefono non prende e mi rilasso.
Un bambino davanti a me tira fuori dalla borsa della madre un salame intero, sorrido e ripenso a mio zio siciliano che, giocando a Saltinmente, alla voce “cose che si possono trovare in spiaggia” con la P, rispose pasta al forno.
Adesso è tutto più plausibile.
Il sole è alto e tira vento, io riprendo il cammino tra i vicoli colorati che mi portano alla Cattedrale barocca. Il cielo è terso, neppure una nuvola, un profondo blu incornicia questo capolavoro di architettura che rispecchia la luce tanto da accecare.
Una volta dentro, le gambe nude avvolte da un kimono di TNT, origlio da una guida che l'interno, più sobrio di ciò che mi aspettassi, è in realtà del periodo originale di costruzione della Cattedrale, quello Normanno. La facciata, ora in contrasto con lo stile degli interni, fu ricostruita in stile barocco a seguito del terremoto che la distrusse.
Esco, preferisco l'aria aperta, il sorriso mi spalanca le porte dei bagni dei bar senza consumare.
Sembra tutto perfetto fino a che non mi si spegne il telefono.
Fortuna che ho ereditato parte del senso di orientamento di mio padre, giusto quel poco che mi permette di ritrovare la stazione degli autobus.
Mi accorgo in albergo di non aver dato importanza a Siracusa, quando leggo dell'orecchio di Dionisio. Vado a letto facendo i conti con l'incompiutezza.




























martedì 21 agosto 2018

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA


GIORNO 2

Di efficienza.


Mi sveglio avvolta da una lieve malinconia, gli aranceti fuori dalla finestra mi ricordano Siviglia, un anno fa, con Luigi.
Mi siedo su una panchina di fronte al castello Ursino, equipaggiata da montagna, in attesa dell'auto che mi porterà a scoprire l'Etna, o almeno queste erano le premesse.
Dopo 30 minuti non vedo ancora nessuno, così chiamo, mi sono già contenuta a sufficienza.
Dall'altra parte risponde una voce flebile e titubante che, affogando la risposta in un mare di
ehm, rivela che si sono scordati di me.
Mi incazzo, con la forza che trovo quando di fronte a me non ci sono un paio di occhi.
Gesticolo a gran voce, con le cuffie nelle orecchie, battendo in lungo e in largo il parco cittadino.
Ottengo lo stesso tour, gratis, nel pomeriggio. O meglio, come dice la flebile voce, forse, dovrei aver ottenuto. Non riesce proprio a non utilizzare un conservativo condizionale.
Allora non ci siamo capiti, la smette di usare il forse?”
Vado a sbollire il nervoso da cambiamento di programma al mercato del pesce, ad osservare chi osserva, con un' aranciata e degli arancini di pesce.
Vale sempre la pena tornare nei luoghi dove si è stati bene, godersi i cambiamenti di scenari e le similitudini.
Una passeggiata per le strade della Catania alta, della zona universitaria e dei parcheggi, mi accompagna fino a pranzo.
Rigatoni alla norma, Xavier Rudd e la sensazione di non poter chiedere di meglio.
Alle 3 arriva a prendermi Isabella, la guida turistica, a bordo della sua Fiat multipla d'epoca, carichiamo due coppie Sanremesi e cominciamo a salire. Il piano dice: Nicolosi, crateri silvestri e cena a Zafferana Etnea. Accanto a me, nei sedili davanti, Giorgio, il più anziano, comincia a narrarmi il loro itinerario di viaggio illustrandomi con orgoglio il suo road trip mentre io cerco di tenere a fuoco la strada per non vomitare. Ha tra le mani un libretto con figure, una tesina, con cui ha pianificato il viaggio in auto delle coppie lungo Sicilia e Calabria, nei minimi dettagli. Ci sono i kilometri, le strade segnate in rosso, i dettagli delle tappe e, identificate con dei numeri, le principali attrazioni.
Mi sento meno sola.
Tra le curve del parco nazionale dell'Etna cominciamo a vedere pietre nere e ginestre, ovunque.
La ginestra, ci spiega Isabella, è la prima pianta a crescere dopo un'eruzione, la prima ad attecchire sulla lava.
Cammino tra le pietre scure e la cenere, siamo sopra i crateri più antichi, quelli sopiti. 
Passeggiamo sopra le bocche. Sarebbe facile cadere giù, penso, un passo falso e precipiti, nessun appiglio.
Le saponarie verdi, non ancora fiorite, colorano distese di nero profondo e grotte laviche e minerali di ogni colore. Isabella racconta e noi la seguiamo, il fiato corto e il cuore in gola interrotti solo da soste di scatti. Siamo pochi quassù, in questo pomeriggio che ci regala qualche raggio di sole.
"E' meglio di pomeriggio, si riesce ad evitare le scolaresche" dice lei sorridendo mentre io ripenso a questa mattina.
L'uomo sembra nulla da questa prospettiva.
Ho scelto Catania e la costa Est principalmente per il vulcano, senza sapere bene perchè, era come un richiamo non indagato.
Il cervello arriva sempre dopo la pelle.
Lo scopro quassù, mentre intorno a me si espande solo natura incontaminata.
Il vulcano ti dà la misura esatta del potere positivo della distruzione in vista di una rinascita.
L'Etna è uno dei vulcani più attivi e i catanesi sperano in eruzioni regolari.
Come spiega Isabella, è l'eccessivo accumulo di materiale ad essere realmente pericoloso.
Continuo a pensare a tutto questo come ad una metafora, mentre divoro la mia pizza fritta.