venerdì 27 novembre 2015

FAMIGLIA MODESTI IN TUR(*)

GIORNO 11

La pioggia e un'irritazione da rasoio danno il via all'ultima giornata, per Parigi e per la vacanza.
Esco da sola, non ho mai visto la parte moderna di questa città, il Centre Pompidou, così salgo in metro e comincio con i cambi, le stazioni come Chatelet sono davvero grandi, gli infiniti nastri scorrevoli che accompagnano folle di uomini dalla valigia, turisti e anziane donne dai capelli bianchi.
Me la prendo comoda, loro sono al Musée d'Orsay e se conosco mia mamma ci vorrà tutta la giornata, sospetto sia stato parte di un piano esserselo lasciata per ultimo, la sua ciliegina sulla torta, la sua festa di compleanno a sorpresa.
Ammiro dall'esterno quest'ammasso di acciaio e tubolari, passeggio col mio ombrello attorno alla fontana dei giochi colorati, un serpente a spirale che ruota su se stesso mi incanta mentre un uomo accanto a me pulisce il suo disegno di gesso dall'acqua sul pavimento. Ci sono graffiti e adesivi qua, mi piace, giro per negozi vintage e trash, valuto se farmi un piercing, poi opto per una più semplice camicia usata e proseguo per la mia strada.
Dopo tutti questi giorni, i mille paesaggi, la moltitudine di persone, sono più gli occhi ad essere stanchi che i piedi, ho il cuore pieno e desideroso di altro, penso che non me ne andrei, penso che poi ti scordi subito l'ebrezza della scoperta, la quotidianità torna alla ribalta come la sabbia che si alza in una tempesta.
Raggiungo il babbo e Alessia lungo la Senna, al museo è entrata solo la mamma, loro l'hanno sostenuta lungo la fila, o meglio, lui. Adesso si riposano fuori, mi siedo con loro, scrivo con i piedi che penzolano, davanti a me, sull'altra sponda, grandi foto di solidarietà, pace e umanità. Io addento un panino bagnato dalle lacrime che Federico mi ha fatto versare avvisandomi della scomparsa di Uga la tartaruga, o almeno di questo era convinto, è riapparsa dal terreno 5 ore dopo, 5 disperatissime ore dopo la maggior parte delle quali passate così, ad aspettare la mamma. Non abbiamo preso la metro per raggiungere Notre Dame, per una volta decidiamo di passeggiare, per una volta il tempo non ci manca così costeggiamo la Senna, i pescatori, uomini soli e i loro letti, gli addetti ai lavori e le bancarelle di vecchi libri e manifesti. "Il ponte non resisterà al vostro amore", così si legge nel cuore affisso all'inferriata, sovrastato anch'esso dalla miriade di lucchetti.
Lucchetti rotti, lucchetti grandi tre volte gli altri, lucchetti con la combinazione vantano amori finiti, amori sopravvalutati e amori a scadenza. Si sente il bisogno di lasciare un segno tangibile, dire al mondo "io c'ero e quindi ci sono", la condivisione è il vero fulcro, penso mentre guardo le coppie darsi baci davanti ad un telefono. Arriviamo a Notre Dame e ci aggreghiamo alla visita gratuita in italiano, se non altro ci permette di saltare la fila, acquisire la priorità e trovarsi dentro. Scopro che la cattedrale è stata ricostruita intorno al diciannovesimo secolo per non far sfigurare l'intero Paese di fronte all'orda di turisti che cominciarono a visitarla dopo l'uscita e il successo del romanzo di Victor Hugo. Entriamo seguendo la bandierina tricolore ma dopo una mezz'ora eravamo ancora sul primo rosone così ci defiliamo e continuiamo da soli. Non saliamo su, ci vogliono 2 ore di fila da dove siamo adesso e non abbiamo voglia di impiegare così le ultime ore che ci rimangono, così io e la mamma andiamo a rilassarci al Louvre, non ha potuto vederlo, così la porto fin dove l'accesso gratuito lo consente, le faccio illuminare gli occhi di fronte alla piramide capovolta di cui leggeva nel Codice da Vinci, io intanto fotografo bambini che ne tentano la scalata.
Siamo tutti stanchi, davvero molto stanchi, trasciniamo con noi piedi pesanti e schiene a pezzi, e una malinconica felicità.


                                     































lunedì 9 novembre 2015

FAMIGLIA MODESTI IN TUR(*)

GIORNO 10

Sono seduta sul prato di Montmartre, scrivo e un gruppo di ragazzi suona con un amplificatore davanti ai turisti disattenti e affaccendati, sorrido, mi rilasso e batto le mani a tempo di musica. Uno di loro mi si avvicina, sono l'unica vera fan, mi chiede se mi piace quello che ascolto, sono studenti del musicale di Parigi, amici che improvvisano per le strade della città. Ci scambiamo opinioni, poi mi lascia la mail per mandargli le foto che ho scattato loro.
Il sole mi riscalda il volto, sono da sola e mi sento bene.
Questa città si è trasformata dall'ultima volta che ci sono stata, è una metropoli ora, uomini di colore vendono aste per selfie e gadget a stock in ogni angolo, i ritrattisti di Montmartre, una volta rifugiati nella piazzetta centrale, adesso affollano con la loro insistenza e scarsa bravura le strade dietro il Sacro Cuore.
Abbiamo fatto la Parigi più turistica, le tappe obbligate per chi, come la mia famiglia, non c'è mai stato.
Si parte con l'Arco di Trionfo, fila nel sottopassaggio che attraversa la rotonda che lo contiene, inevitabile se non si vuole rischiare con la roulette dell'asfalto, tu, la pallina che gira tra file di macchine che sfrecciano in cerchio.
Si passa al Trocadero per poi scendere da lì verso la Tour Eiffel, la vista della famosa foto di Bresson è occultata da lavori in corso e le fontane sono spente da un pò.
Scalare la torre di ferro a quest'ora del giorno è impossibile, serpentoni di curiosi si snodano e incrociano tra i quattro pilastri, troppo caos ed è così che finiamo a Montmartre, più tranquilla nei miei ricordi sbiaditi.
Dentro la chiesa che imponente domina il promontorio vendono ceri a dieci euro, ne noto molti accesi durante il giro obbligato in cui ci incanalano, mi lancio in un'invettiva contro la speculazione ecclesiastica mentre il cristo impresso sulla cupola l'oro sopra di noi pare fissarmi, usciamo.
Mangio una crepe salata al formaggio mentre ci dirigiamo verso il Lapin Agile, devo informarmi su chi sia Utrillo, il suo nome è ovunque e la sua storia tormentata di malattia mentale ed alcolismo che riesco in qualche modo ad evincere dai cartelli in francese, mi affascina.
Sulle scalinate della chiesa il babbo si eccita come un ragazzino per un soccer freestyle, io mi diverto ad osservare gli sguardi delle sue fan di tutte le età, mentre mia sorella mugola seduta su uno scalino, è già troppo tempo che è in giro, vuole solo tornare in albergo. Purtroppo per lei, però, ormai io e il babbo stiamo fremendo per l'inizio dell'esibizione, così attendiamo l'allenamento che pare non finire più. Poi inizia a palleggiare in bilico su un pilastro, in equilibrio su inferriate, circondato da un panorama mozzafiato si arrampica su pali belle epoque. La mamma fa il video, il babbo applaude e finisce nel suo cappellino con i colori della Jamaica i soldi che ha nel borsello, siamo tutti felici, poi mi giro e Alessia scalpita disinteressata, così loro se ne vanno e io rimango qua.
Scambio i musicisti con Chiara e Ludovica, passeggiamo al calar del sole, qualche selfie col bastone che sono riusciti a farle comprare per poi prendere la metro, dove un sassofonista ci tiene compagnia.
Amo gli artisti di strada, ammiro il loro coraggio, l'intraprendenza, la forza di prendere gli attrezzi del mestiere e spostarsi, dove e quando serve, il loro tempismo.
Cena alla Petite Hosterille, locale aperto nel 1902 come tiene a precisare l'insegna, teste di cervo alle pareti, legno, fagiani e tanta suggestione.
Qui Eduardo il brasiliano serve fonduta e patate all'aglio per loro e mules frites per me.
Per otto giorni mi sono chiesta come si potessero friggere le cozze, quando ho scoperto essere due cose separate, cozze e patatine fritte, ho voluto sfidarle.
Del vino fa compagnia alle nostre chiacchiere sconce, poi mi accompagna verso la Tour Eiffel dove i miei genitori stanno giocando alla coppia in viaggio di nozze, tra le luci che intermittenti rischiarano il cielo parigino. Io mi siedo per terra, al centro della torre, alzo lo sguardo e mi godo la vista mentre li aspetto scendere.