domenica 22 dicembre 2019

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA (pt. 2)


GIORNO 2

Sono a Cefalù, seduta su uno scoglio, sotto di me si infrangono le onde del mare, dietro di me turisti si scattano foto tutte uguali.
Io resto vigile, il mare è il connubio perfetto di amore e paura, somiglia a viaggi come questo, una ricerca continua della sensazione che ci sta nel mezzo.
Ho costeggiato le mura esterne della città, un piccolo sentiero di roccia tra gli scogli appuntiti che mi ha portato incontro alla paura dei gabbiani e ad una strada senza uscita in cui ho deciso di sostare.
Questa mattina il mercato aveva un altro sapore, faccio colazione con panelle e crocchè mentre mi aggiro tra i chiaroscuri delle strade piene di vita. Mi sono lanciata in saluti e buongiorni che mi hanno restituito quell'autenticità che ieri faticavo a riconoscere. Non sono riuscita a scattare però, è come se i volti dei Siciliani serbassero storie troppo dure per poterle catturare con superficialità. 
Intravedo un mondo che non voglio profanare.
Oggi il sole illuminava più forte le storie di integrazione.
I banchi colorati pullulano di giovani aiutanti di colore intenti nell'annaffiare cavoli e zucchine.
Ho visto un uomo avvicinarsi ad uno di loro e chiedergli da dove veniva:
“Ghana”, risponde lui, “Eh, tornaci”, ammonisce l'uomo.
Il ragazzo sorride, forse per abitudine, forse perché qualcun'altro, invece, gli protegge le spalle.
Si avverte una sensazione di pacifica convivenza tra chi accetta e chi no.
Sono tornata in camera presto, non ho orari per i pasti, mangio incessantemente cibo da strada per tutto il giorno, così, quando cala il buio, è il solo istinto delle gambe a ricondurmi a letto. 
Dalla camera accanto esce una musica di armonica, costante, non capisco cosa sia o da chi provenga, mi lascio cullare da quelle note.
Oggi era caldo, sento ancora il viso tirato dal sole di Cefalù. E' stato piacevole uscire dalla città, scoprire il piccolo borgo color pastello con le sue vecchie case a picco sul mare, il fruttivendolo a domicilio e i costumi a novembre. L'ho immaginato d'estate ed era dannatamente bello essere lì in autunno. Già, siamo in autunno, non te ne accorgi in Sicilia. I colori, la luce che riflette sulla pietra color sabbia delle chiese, i cactus e i banani e le palme sempreverdi, sembra di essere immersi in un'estate costante.
Sul treno di ritorno per Palermo ho avvertito il pericolo per la prima volta:
un ragazzo ha minacciato di morte il controllore, un braccio a cingergli il collo e rabbia negli occhi. 
Non abbiamo capito il perché, ma ho scorto dai volti dei miei compagni di vagone la nascita di un panico collettivo, per quei minuti ci siamo sentiti come dentro ad una notizia di cronaca nera. “Stai attenta alla macchina fotografica” mi ha detto una signora scendendo “non si sa mai in questo mondo, le cose succedono”. Già, penso dirigendomi alla ricerca del bello.
Bello che trovo nei murales di un quartiere popolare, in una chiesa incompiuta, in un temporary bar multiculturale che dichiara guerra al pizzo, nella vista della cattedrale in notturna, in un musicista e la sua chitarra, alla luce di un lampione.
Bello che mi tengo stretto,
bello che mi dimentico di fotografare.






                                                 


 



                                                                                                     




                                                


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