sabato 28 dicembre 2019

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA (pt. 2)


GIORNO 3

Piove e al risveglio abbandono l'idea di andare alla Valle dei Templi di Agrigento, 4 ore di treno e nessuna informazione sui mezzi pubblici per raggiungerla. Decido di passare di chiesa in museo, coperta dal mio impermeabile nero. 
Con il grigio del cielo noto cose che non avevo visto prima, i balconi che posano su basamenti di marmo bianco, scorgo pareti di case parzialmente crollate che scoprono vecchie mura interne ricoperte da mattonelle colorate e il traffico, l'incontrollato ed autogestito reticolo di auto. 
La prima tappa era programmata, così mi avvio verso la mostra di Zerocalcare allo Zen, ai Cantieri culturali della Zisa, ex area industriale riqualificata, appena fuori dal centro.
L'atmosfera che si respira qui è esattamente quella che mi aspettavo, un giovane scultore sta modellando il suo tronco grezzo proprio di fronte all'ingresso. La mostra racconta del Kurdistan e della Diaz, d'immigrazione e di razzismo, mi aggiro tra le illustrazioni scalza, sotto di me visi su feltro. Lascio che una mafalda con le panelle lasci depositare quelle storie e decido di lasciare spazio all'itinerario arabo-normanno, patrimonio dell'Unesco.

Le reminiscenze scolastiche non bastano per colmare le lacune culturali che impediscono di comprendere appieno i luoghi in cui mi trovo, così mi affido ad un libro illustrato per bambini che sfoglio nel book shop del Palazzo Reale.
“Nel Medioevo, tra il 1130 e il 1190, i re Normanni di Sicilia crearono un modo unico di costruire edifici grazie agli artigiani, artisti ed ingegneri di origine Araba, Bizantina e Latina. I primi si occupavano dei soffitti e delle decorazioni, i Bizantini dei mosaici e i Latini di edifici e ponti. Tutte figure che a causa delle dominazioni erano già presenti nel territorio.”
Castello della Zisa, il palazzo dello svago reale e la Cappella Palatina, queste le mete.
Solo a quest'ultima dedico un'ora, sotto tutto quell'oro resto immobile a chiedermi come sia stato possibile per degli esseri umani ricoprire con tasselli non più grandi di un'unghia di un mignolo tutte quelle superfici. 
Tutto sembra possibile sotto queste volte.
La più alta espressione artistica della multiculturalità percepita in questi giorni, cristiani e musulmani insieme che plasmano un luogo dove avvertire vicina la presenza di un Dio.
“Questo soffitto detto in arabo a muqarnas (stalattiti) non si trova in nessun altro posto in Europa.” Quante cose si imparano in fretta con un linguaggio semplice e delle illustrazioni.

Leggo online che stasera nel cinema Rouge et Noir, accanto al Teatro Massimo, danno un film sulla psicomagia, delle amiche me ne avevano parlato, due sole proiezioni, 20:30 e 22:30.
Il primo spettacolo si concilia a pieno con il mio ritmo sonno veglia di questi giorni.
Entro a prendere i biglietti e scopro che sono esauriti, disponibili solo all'orario più tardo.
Resto fuori dal cinema una decina di minuti a pensare se l'altro possa andare bene lo stesso, mi decido, entro e di fronte a me un ragazzo chiede di poter cambiare i suoi dalle 22:30 alle 20:30, “li prendo io” avanzo con la mano alzata “li devi prendere entrambi però”, “ok”, rispondo risoluta.
Il tempo di girarmi verso l'uscita e trovo da vendere l'altro ad un ragazzo solo.
Psicomagia? Bottadiculo? Pensiero positivo? Non so.
La sala è stracolma, bello vedere tanta adesione alla cultura.
La psicomagia parla all'inconscio tramite azioni teatrali che arrivano al nocciolo del trauma senza passare dalla ragione. Torno verso l'albergo incuriosita ed infastidita, forse c'è stato un dialogo tra la me interiore e lo schermo che io non ho avvertito, ma di cui percepisco il risultato.
Porto a letto la mia inquietudine.





                                                                           





                         



                           




domenica 22 dicembre 2019

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA (pt. 2)


GIORNO 2

Sono a Cefalù, seduta su uno scoglio, sotto di me si infrangono le onde del mare, dietro di me turisti si scattano foto tutte uguali.
Io resto vigile, il mare è il connubio perfetto di amore e paura, somiglia a viaggi come questo, una ricerca continua della sensazione che ci sta nel mezzo.
Ho costeggiato le mura esterne della città, un piccolo sentiero di roccia tra gli scogli appuntiti che mi ha portato incontro alla paura dei gabbiani e ad una strada senza uscita in cui ho deciso di sostare.
Questa mattina il mercato aveva un altro sapore, faccio colazione con panelle e crocchè mentre mi aggiro tra i chiaroscuri delle strade piene di vita. Mi sono lanciata in saluti e buongiorni che mi hanno restituito quell'autenticità che ieri faticavo a riconoscere. Non sono riuscita a scattare però, è come se i volti dei Siciliani serbassero storie troppo dure per poterle catturare con superficialità. 
Intravedo un mondo che non voglio profanare.
Oggi il sole illuminava più forte le storie di integrazione.
I banchi colorati pullulano di giovani aiutanti di colore intenti nell'annaffiare cavoli e zucchine.
Ho visto un uomo avvicinarsi ad uno di loro e chiedergli da dove veniva:
“Ghana”, risponde lui, “Eh, tornaci”, ammonisce l'uomo.
Il ragazzo sorride, forse per abitudine, forse perché qualcun'altro, invece, gli protegge le spalle.
Si avverte una sensazione di pacifica convivenza tra chi accetta e chi no.
Sono tornata in camera presto, non ho orari per i pasti, mangio incessantemente cibo da strada per tutto il giorno, così, quando cala il buio, è il solo istinto delle gambe a ricondurmi a letto. 
Dalla camera accanto esce una musica di armonica, costante, non capisco cosa sia o da chi provenga, mi lascio cullare da quelle note.
Oggi era caldo, sento ancora il viso tirato dal sole di Cefalù. E' stato piacevole uscire dalla città, scoprire il piccolo borgo color pastello con le sue vecchie case a picco sul mare, il fruttivendolo a domicilio e i costumi a novembre. L'ho immaginato d'estate ed era dannatamente bello essere lì in autunno. Già, siamo in autunno, non te ne accorgi in Sicilia. I colori, la luce che riflette sulla pietra color sabbia delle chiese, i cactus e i banani e le palme sempreverdi, sembra di essere immersi in un'estate costante.
Sul treno di ritorno per Palermo ho avvertito il pericolo per la prima volta:
un ragazzo ha minacciato di morte il controllore, un braccio a cingergli il collo e rabbia negli occhi. 
Non abbiamo capito il perché, ma ho scorto dai volti dei miei compagni di vagone la nascita di un panico collettivo, per quei minuti ci siamo sentiti come dentro ad una notizia di cronaca nera. “Stai attenta alla macchina fotografica” mi ha detto una signora scendendo “non si sa mai in questo mondo, le cose succedono”. Già, penso dirigendomi alla ricerca del bello.
Bello che trovo nei murales di un quartiere popolare, in una chiesa incompiuta, in un temporary bar multiculturale che dichiara guerra al pizzo, nella vista della cattedrale in notturna, in un musicista e la sua chitarra, alla luce di un lampione.
Bello che mi tengo stretto,
bello che mi dimentico di fotografare.






                                                 


 



                                                                                                     




                                                


lunedì 9 dicembre 2019

IO VIAGGIO ANCHE DA SOLA (pt. 2)


GIORNO 1

Sono arrivata al porto seguendo il richiamo del mare, il sole di mezzogiorno mi riscalda la schiena ricurva, il vento mi fa sentire viva.

E' stata una partenza desiderata questa, desiderata quanto temuta.
Ci ho messo un po' a prenotare, ogni volta si parte dal principio, affronto giorno dopo giorno il timore di non farcela e l'entusiasmo per una nuova avventura con me stessa.
Sono partita sotto la pioggia, nel buio della notte, un thermos di tè e un sacchetto di biscotti a tenermi sveglia.
La strada per l'aeroporto è popolata da una lenta processione di tir che mi costringono nella corsia di sorpasso, dopo ogni ostacolo superato mi ricordo di respirare e rilascio l'addome contratto che fino a poco tempo fa neppure percepivo.
Una piacevole alternanza di apnee.

Non ci sono stati dubbi nello scegliere Palermo come destinazione per il mio “tempo di decompressione”, la mia schematicità ha deciso per me, sentiva di dover completare un percorso, il territorio come traccia interiore.
Questa volta arrivo di prima mattina, l'alba la scopro tra le nuvole.
Trasporto i piedi e le due ore di sonno verso il b&b, il trolley che si incastra nelle irregolarità delle strade, migliori solo ai sanpietrini.
La stanza non è ancora pronta e forse questa è l'unica ragione che mi impedisce di crollare.
Non ho un piano ben definito, solo liste di cose da fare in ordine sparso, mandate da amiche che qui ci sono nate.
L'improvvisazione non mi paralizza più, decido di lasciarmi libera di seguire il tempo.
Il ragazzo alla reception ci tiene a darmi delle indicazioni che smetto di seguire quando disegna dei cerchi rossi sulla cartina in corrispondenza dei tre mercati principali della città: il Capo, Ballarò e la Vucciria. Avevo già deciso di partire da quelli e per la giornata mi sembra abbastanza, o almeno così pensavo. Scendo per strada, la pioggia di questa notte è solo un ricordo.
Mi accorgo subito di non essere più nella Sicilia Orientale che ho conosciuto e non so ancora se questo mi piaccia o meno, sono una pigra abitudinaria mossa da curiosità, preferisco riconoscere che conoscere, spesso.
Il caotico e colorato mercato del pesce di Catania lascia posto ad un ricco e più docile connubio di multiculturalità che si fa spazio tra le strette vie riparate dal sole.
Pattern di broccoli di Sciara e distese di olive si alternano ad Afromarket e pacchi di calzini da 10.
Mondi che hanno imparato l'arte della convivenza.
Accenno sorrisi e distolgo sguardi con la stessa rapidità, non scatto molto, mi limito ad osservare a passo svelto i murales che sopravvivono a mura cadenti, botteghe che foderano vecchie selle di motorini e la sporcizia che sembra essere diventata elemento architettonico.
Ho camminato tutta la mattina senza sosta, in fedele compagnia della paura del vuoto.
Ascolto il mare infrangersi nei blocchi di cemento del porto e mi ricordo che è da ieri sera che non bevo acqua.
Continuo a camminare come se dovessi sentirmi parte di qualcosa prima di poter scegliere dove sostare.
I 4 canti, la Cattedrale, il Palazzo Normanno, attraverso la città guardando in alto, a tratti distratta dalla stanchezza e dalla strana sensazione che mi lascia addosso questa assenza di pianificazione.
Tornando verso la camera, ormai rassegnata all'idea di dover riposare un po', scorgo le indicazioni per il “mercato delle pulci”, un cartello marrone gli conferisce dignità.
Scelgo di allungare la strada e mi ritrovo di fronte ad una via alberata, sui lati botteghe antiquarie foderate di lamiere si modellano attorno a tronchi possenti, un perfetto connubio di abusivismo, rispetto per l'ambiente e invettiva.
Un popolo strano questo, vado a letto con due arancine sullo stomaco, pensando ai motorini a pedali e a tutte quelle insegne fuori dai palazzi storici:
“qua una sera ha giocato a scacchi ...”
“qui ha riposato per due ore ...”
E poi si dice degli americani.