martedì 12 settembre 2017

(MO)DINI'S ON THE ROAD

GIORNO 5

Ci da il buongiorno un coro di voci angeliche che dalla chiesa si diffonde e si spande nella stanza, ci svegliamo rilassati, scendiamo per un caffè nel negozio di souvenir, tra odore di tartufi e musica soave che fuoriesce dalle casse, inondando tutta la strada.
Mi sdraio su un muretto di pietra, mentre Luigi assapora in pace il suo caffè io mi godo il silenzio e le voci gentili.
Facciamo un'ultima passeggiata in questa città così sola e calorosa.
Studiamo le scritte in galeolitico che alloggiano nell'atrio della cinta muraria e ci spostiamo al cimitero.
Mi sono sempre piaciuti i cimiteri, mi piace osservare i volti del passato, i seppia sbiaditi degli ovali laccati conferiscono a quelle persone un senso di eternità.
Le steli di marmo ed i fiori appassiti mi parlano di loro.
C'è una piccola chiesa qua, tra le tombe, un posto per i vivi, un posto per accogliere le loro preghiere per il futuro. E' il giorno di ferragosto ma noi non ne abbiamo tracce, non ce ne accorgiamo fino a che non ci fermiamo a ragionare su di loro che oggi lavorano, tre giovani donne che oggi restaurano gli affreschi della cappella quasi andati perduti.
Anche loro, tra spugne imbevute e stucchi e trabattelli, ascoltano in diffusione una musica che fa bene all'anima. Mi stupisco di come tutto qua, in questa mattinata di sole, sembri essere in perfetta armonia con il mio essere, i colori ed i suoni mi riportano alla pace.
Lasciamo Hum con un velo di malinconia e due bottiglie di grappa, alla volta del mare, destinazione Pola, la punta Sud dell'Istria marittima.
Il primo impatto con il caldo, l'aria di salsedine, la grande città e il verde intorno a noi non più così florido ci fa dimenticare dei cori di questa mattina.
Il check in è fissato per le 16:00, come mi ricorda la giovane voce maschile dall'altra parte del telefono, così, lasciati in macchina i bagagli, cominciamo a girovagare per questa città dove i Romani hanno lasciato ben visibili le loro tracce.
Un anfiteatro, un tempio pagano, un arco e delle rovine portano la città a godere di un turismo non esclusivamente legato alle spiagge.
Ci informiamo sulle escursioni davanti ad una birra calda servita da un cameriere piuttosto sgradevole. Concordiamo sul fatto che torneremmo in Slovenia, subito.
L'appartamento non è esattamente ciò che ci aspettavamo, le indicazioni del ragazzo ci portano alle chiavi di casa, sotto un nano da giardino di fronte al portone di una soffitta al quarto piano di un palazzo storico.
Pavimenti di legno nascosti da patchwork di moquette polverosa schricchiolano sotto i nostri passi, il controsoffitto a bolle pare mal sopportare le infiltrazioni di cui sentiamo l'odore, il coprimaterasso è troppo stretto per un letto a due piazze.
Non è di certo la miglior giornata che abbiamo passato, ma siamo in vacanza, no?


Andiamo in macchina alla ricerca del mare, l'acqua limpida risplende sui ciottoli scuri, dopo un approccio troppo lungo di una donna che cerca di convincerci a fare un giro in barca troppo costoso, decido di farmi un bagno per lavare via quel lieve senso di fastidio che mi sta pervadendo da qualche ora. Mi piace il mare, mi piace guardarlo e respirarlo, amo fissare il movimento delle correnti, l'acqua che si infrange negli scogli, i granchi che si nascondono sotto di essi.
Ecco, mi piace il mare, da fuori.
Ho paura di tutto, la flora e la fauna che abitano i fondali mi terrorizzano.
Mi immergo fino alle gambe, mentre controllo come un ispettore tutto ciò che circonda i miei piedi ancorati alla roccia, ed eccole lì, non le avevo mai viste in questa forma, sciami di piccole meduse bianche, nessun tentacolo, solo una piccola testa in movimento.
Solo dopo esser fuggita via mi accorgo che ci sono bambini che le prendono tra le mani, che ci giocano, le che spostano all'occorrenza.
"Sono meduse innoque, mi dicono, non fanno niente, senti solo un pò una sensazione di viscido avvolgerti".
In quel momento mi convinco a continuare a fare l'esploratrice da fuori, a rincorrere granchi per il solo gusto di farlo, a cercare conchiglie che non ci sono, a parlare con Luigi, al tramonto, con le dita che sfiorano l'acqua poco salata.
Le persone, le strade con la doppia lingua, gli arbusti, tutto qua ci ricorda l'Italia.
Dopo una doccia inefficiente usciamo amareggiati, mano nella mano, per le vie del centro, costeggiamo il porto, dove cartelli pubblicitari con barche e delfini al tramonto affollano la banchina. Poco più in là delle gru illuminate rischiarano il nero profondo del mare.
Un fish and cips di pesce ci da una buonanotte migliore di quella delle molle del materasso, piantate tra le scapole.



















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